Si fa per dire ma qualcosa di vero c'è a tirare in causa i non-sense e i calembour del miglior Woody Allen, quello che ancora non osava fare il verso a Bergman. «Il dormiglione», ad esempio, impacciato di autoreferente ironia, cinico quanto basta e soprattutto, divertente.
Volendo andare in salita, come tutti gli autolesionisti pacati, Francesco Olivieri definisce il suo «La milonga dei maroni cotti» (Leone Editore) un controromanzo pop. A prenderlo sul serio verrebbe precisare che un «controromanzo» non ha nulla da dire e dunque, che non faccia l'intellettuale à la page perchè il «pop» di forforoso ha solo la sicumera dei sedicenti critici musicali di provincia. Non ha il fisico- è un ragazzone grande e grosso- e un'agra capacità di sfottò che non raccatta troppi paragoni in giro. Forse, se la prende con tutti, dal primo vagito ad oggi proprio per dire «io ci sono». Buon per lui, che si accontenta indicando nientemeno che Pulsatilla tra le sue muse ispiratrici. Anzi, no, perché non si accontenta e lo si capisce leggendo tra le righe la cronaca quotidiana che ci propina, dalla sua venuta al mondo dopo un travaglio durato un giro d'orologio e un bel po' di disarmonie esistenziali che un po' gli piacciono e un po' no. Ma non se ne priva. Lo sfoglio del calendario è come lo spoglio delle schede elettorali da parte di uno scrutatore che sta sempre all'oppozione, quale che sia il governo in carica o quello che sta per essere eletto. Olivieri rovescia l'urna di cartone, fa la conta e mette insieme il taccuino di un viaggio giovane in cui pare, sempre, chiedersi «io che ci faccio qui». Amici, ragazze, studi universitari, lavoro, religione. Non quadra quasi niente ma non è una sorpresa [...]
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