lunedì 10 dicembre 2007

INCUBI - Nuovo horror italiano



Titolo: Incubi. Nuovo horror italiano
Autore: AA.VV.
Casa Editrice: Baldini Castoldi Dalai
Anno: 2007
Pagine: 333
Prezzo: € 17,30


Mi sono avvicinato a questa antologia fra speranze e cautele. Sulla copertina del libro si staglia in rosso la dicitura “nuovo horror italiano”, una dichiarazione di un certo peso, soprattutto perché in Italia la scena horror striscia da sempre al limite dell’inesistente.

L’introduzione è affidata al curatore dell’opera, Raul Montanari, che fornisce il kit di sopravvivenza per il primo contatto con il genere letterario. Zavorra il lettore con informazioni approssimative, riesuma l’immancabile simbolo romantico del soggiorno di Lord Byron sul lago di Ginevra nell’estate del 1816. Una cartolina scontata, letta mille volte, indirizzata agli alieni. Forse.

Il primo racconto, La mungitura, porta la firma della Barbato. Tutto ruota intorno a un casolare di montagna abbandonato, tempo prima teatro di una carneficina. La storia si muove fra scene e toni decrepiti, e i contrappunti narrativi alla Blair Witch Project non salvano la lettura. Usciti dal casolare saliamo sul convoglio di una metropolitana, dove Biondillo rinchiude un pugno di esistenze per un viaggio nella follia. L’Ultimo metrò trasmette a tratti un certo disagio, ma corre via troppo facilmente e scarica la tensione in un finale davvero misero.

Con Vertigine Nera di Boselli viviamo l’arrampicata di tre amici su una difficile parete delle Dolomiti dalla sinistra reputazione. L’atmosfera è costruita con efficacia e l’orrore che si annida fra le rocce mette i brividi. Forse l’antologia ingrana, ma Carraio spegne ogni entusiasmo. La nonna morta fa un certo effetto al primo impatto, ma non regge a una rilettura: dietro al delirio dell’uomo che parla al cadavere della moglie, sotto gli occhi del nipote, si scopre solo lo scheletro di una narrazione vuota.

Vittorio Curtoni ci risolleva con un giro sulla giostra di Io mordo per primo. Indiani a Piacenza e incarnazione di mostri, orrore e ironia in una scrittura frizzante. Si rinasce, ma per poco, perché Fois è dietro l’angolo. Carlo è fuori di testa descrive le gesta di un drogato coinvolto in una serie di strani omicidi. Una storia ritrita con personaggi manichini, affossati da una scrittura che le prova tutte e rimane irritante. Il finale chiude con una delle frasi più esiziali per un racconto, distrugge ogni credibilità e lascia macerie.

Per fortuna ci sono Utero di Morozzi e Farfalle rosse di Nerozzi. Il primo ci regala un’onesta storia dell’orrore, con elementi soprannaturali e sana cattiveria. La si legge con il piacere licantropico di strappare la carne a morsi. Il secondo intreccia con maestria il dramma personale di un investigatore privato con le indagini su un gruppo di persone scomparse misteriosamente. Magnifico calvario senza scampo.

Poi delusione e sconforto. Aldo Nove firma Non c’è nulla di più vivo dei cadaveri. Piastrelle semoventi e nonne acute. Non è un racconto, ma un cliché appena farcito con frasi di cartapesta. Inutile, una presa in giro. Nel sotterraneo horror italiano potrei pescare centinaia di storie migliori a occhi chiusi.

Almeno c’è la Palazzolo. Alia ci getta in incubo mediterraneo, grazie a una rivisitazione inquietante di miti classici e a una scrittura umorale, che fa della sintassi l’affondare della protagonista nell’incubo. Arriva Pinketts, strepita e fa l’acrobata con La caduta di Casa Pusher Ovvero l’inquilino della Torre del Dettatore. L’ammasso di parole si dimentica in dieci secondi, di horror neanche l’ombra. Tiziano Sclavi fa presenza con Mannaia: la pluriomicida deforme che scanna top model raggiunge la sufficienza stiracchiata, a fatica e senza entusiasmo. Gli invisibili della Vallorani sacralizza la povertà di questo libro, rispolverando una casa abitata da presenze: movimento narrativo pari a zero, ambienti putrefatti, memorie e rigurgiti introspettivi insostenibili.

Alla fine del libro che cosa rimane? Il lettore provato, sfatto, confuso. Solo cinque racconti avvincenti in un bouquet muffoso; mancano grandi nomi dell’orrore nostrano, mentre ai pochi presenti si affiancano scrittori imbarcati da altri lidi narrativi, dei quali mi sfugge l’impegno e l’entusiasmo per questo genere. Qual è l’intento di Incubi? Non certo presentare il nuovo horror italiano. Quello continua a strisciare in bui sotterranei ancora da scoprire.

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